Descrizione
La pretesa totalizzante del potere biopolitico ambisce a una rifondazione ontologica dell’uomo tale da mettere a rischio qualsiasi futura ontologia dell’umano. La strategia di potenziamento o enhancement dell’uomo, che la biopolitica spinge fino alle estreme conseguenze, si serve della biologia per poter metter mano sull’antropologia, ovvero accresce il potere sulla nuda vita fino allo sconfinamento dell’umano nel transumano, che è già non-umano, ed è quindi la perdita del sé. L’antropologia viene per così dire progressivamente catturata nelle maglie di un riduzionismo biologico, che ha ridefinito lo statuto dell’umanità a partire da un processo di antropologizzazione dell’animale e di animalizzazione dell’uomo, il cui esito è l’animale-uomo fino al non-uomo. L’uomo sarebbe quindi in balia di un insuperabile dualismo tra la sua natura biologica e i suoi atti morali e facoltà razionali, ovvero tra la sua dimensione fisica e quella spirituale, incapaci di comunicare proprio perché tenuti in scacco da una nozione di natura privata di qualsiasi significato teleologico e completamente chiusa alla trascendenza. Attualmente tale dualismo sta favorendo un processo tanto di disincarnazione dei soggetti quanto di desoggettivizzazione dei corpi umani, culminante in un finale contraddittorio. Il progetto di metamorfosi della soggettività, lanciato verso l’esplorazione illimitata del possibile, si ottiene solo al prezzo dell’estraniazione dell’io: persa l’identità o io, ovvero quell’elemento nel quale potersi riconoscere, all’uomo rimane l’alienazione e subentra l’inquietante schiavitù dei vivi rispetto ai morti che mette seriamente a rischio la spontaneità della vita e del cominciamento, o il futuro aperto. Pertanto, nel nostro contesto socio-culturale saturo di paradigma biopolitico, l’io è salvabile? È possibile mettere in atto dei provvedimenti che siano in grado di contrastare il potenziale distruttivo e tanatopolitico del biopotere e disinnescarlo?
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